L’impatto di Barnier sui rapporti con l’Italia

L’esecutivo guidato dall’ex negoziatore per la Brexit scivola in una destra a tinte nazionaliste: una compagine analoga a quella di Meloni. Ma non è scontato che manchino gli attriti fra Roma e Parigi, specialmente sul piano europeo

Michel Barnier, il nuovo primo ministro francese, è una personalità stimabile, ma le condizioni di formazione del suo esecutivo sono state piuttosto complicate. L’incapacità di riprodurre al governo l’“arco repubblicano” che si era mobilitato nelle urne a luglio per rigettare il Rassemblement national ha determinato la costituzione di una coalizione di centrodestra che raggruppa i macronisti e i Républicains che non ha la maggioranza all’Assemblea nazionale. Il Rn ha pesato sulla nomina di Barnier ma anche sull’azione dei ministri, con il neoministro dell’Economia, Antoine Armand, che viene ripreso dal capo del governo per aver escluso il Rn dalle future consultazioni sul bilancio. Questa nuova configurazione crea quindi uno slittamento a destra dell’esecutivo francese, ben rappresentato dai primi passi di Bruno Retailleau, il neoministro dell’Interno, già dirigente del Movimento per la Francia dell’ultraconservatore Philippe De Villiers prima di raggiungere la destra classica: dichiara con toni repressivi di voler “ristabilire l’ordine”, intendendo anche un rafforzamento della lotta all’immigrazione. I Républicains vogliono riconquistare il loro spazio a destra in una competizione con il Rn, ma allo stesso tempo il partito di Marine Le Pen intende far pesare il suo sostengo esterno.



Queste coordinate politiche di centrodestra con tendenze nazionaliste possono apparire per certi versi convergenti con l’attuale compagine governativa italiana guidata da Giorgia Meloni. Ma non è detto che si traduca in un rafforzamento della relazione bilaterale, anche perché la centralità della dialettica politica dell’interesse nazionale tende a polarizzare e non ad agevolare i compromessi in sede europea. Nel caso italo-francese, se la Francia rilancia una politica contro l’immigrazione, potrebbero ricrearsi le condizioni per quelle guerriglie politiche intorno alla gestione della frontiera comune.

Ci sono poi alcuni paradossi. Anche se la relazione fra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni è di bassissima intensità, i dispositivi di rafforzamento della relazione bilaterale previsti dal Trattato del Quirinale hanno iniziato a funzionare dal 2023 e il lavoro interministeriale bilaterale è cresciuto in qualità e intensità, fornendo una cornice complessiva di valorizzazione a iniziative che sembravano sparpagliate. Si tratta di un aspetto poco eclatante ma concreto che definisce una crescita della governance a livello bilaterale. Barnier è un politico savoiardo, che ha dimostrato grandi doti di dialogo e potrebbe rappresentare una sponda per Meloni, anche perché membro eminente del Partito popolare europeo. Ma la battaglia per la spartizione del potere con Emmanuel Macron in materia di politica europea si annuncia difficile. Macron ha nominato un suo fedelissimo, Jean-Noel Barrot, al posto di ministro degli Affari esteri, ma Barnier, già commissario europeo e negoziatore per la Brexit, può vantare un’esperienza europea per molti versi nettamente superiore a quella del presidente, e quindi cercherà di ritagliarsi alcuni spazi, anche perché molto si fa in Europa a livello interministeriale.



Il Trattato del Quirinale sta però dimostrando la sua valenza anche con un esecutivo non del tutto convinto come quello di Meloni e dovrebbe permettere di proseguire gli sforzi settoriali compiuti, un aspetto fondamentale in quanto Italia e Francia hanno interessi economici e industriali convergenti. Bisognerà vedere se poi la personale (fine)partita di un Macron restio a lasciare il potere e la virata nazionalista del paese creeranno le condizioni per una ripresa delle tensioni fra Parigi e Roma. Un esito che sarebbe controproducente in un momento in cui il quadro mondiale fa dell’Ue una sponda più necessaria che mai per mantenere il nostro modello social liberale.

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