Esportare il “modello Caivano” e aprire finalmente il Cpr in Albania: ecco la prossima agenda Meloni

A due anni dal successo elettorale, la premier è alle prese con la ricerca di temi identitari. La manovra è stretta, meglio concentrarsi su sicurezza e migranti

A due anni esatti dalla vittoria delle elezioni politiche, Giorgia Meloni è riuscita a sovvertire una legge fisica della politica e un vaticinio. La prima riguarda, dopo 24 mesi di governo con alti e bassi, il gradimento degli italiani: non solo non ha eroso il 26 per cento del 2022 ma alle ultime europee ha incrementato il bottino di Fratelli d’Italia toccando il 28,8 per cento. Segno che nonostante tutto la luna di miele continua. E poi, secondo dato difficile da smentire: in Europa, dove non sono mancate le tensioni con Francia e Germania, ha smentito la narrazione che la precedeva. Quella della sfasciacarrozze dei palazzi brussellesi. Lo dimostrano il rapporto costruito con Ursula von der Leyen, il modello Albania elogiato e ora la nomina, nonostante il voto contro Ursula, di Raffaele Fitto a commissario Ue. Bene, e ora due anni dopo che succede?

A Palazzo Chigi non parlano di fase due, ma l’idea che esce fuori dai corridoi è che già gestire la quotidianità, dunque l’emergenza, non è affare di poco conto. Nessun fuoco d’artificio. Semmai esperienze da ripetere.

La prima riguarda la sicurezza nelle periferie. Il “modello Caivano”, lembo di periferia napoletana dove sembra non esserci mai il sole, è considerato un progetto da replicare. In un mix di maggiore presenza delle forze dell’ordine, risposte sulla scuola e la socialità, sport e formazione. Meloni, in stretto contatto con il Viminale, prima della pausa estiva ha detto ai ministri di volersi occupare di più di periferie. E cioè delle tante, troppe Caivano d’Italia. In cima alla lista c’è la romana Tor Bella Monaca, dove l’allora candidata sindaca chiuse la campagna elettorale nel 2016. Ma anche San Basilio, la più grande piazza di spaccio d’Europa dove opera don Antonio Coluccia, prete di strada e di frontiera che tante analogie ha con don Maurizio Patriciello di Caivano. La premier vorrebbe ricucire questi luoghi, al di là degli interventi spot a favore di telecamere. Ma sono tanti, tantissimi: lo Zen a Palermo, il Librino a Catania, la Bolognina a Bologna, le Vele a Scampia, Quarto Oggiaro a Milano, Arghillà a Reggio Calabria. Visto che il governo considera il progetto del Parco verde di Caivano un modello che sta dando i primi frutti replicarlo nelle prossime settimane sarà una sfida messa in agenda. Un modo per armonizzare e investire ancora di più sugli sforzi messi in campo dal Viminale e dal ministro Matteo Piantedosi.

Sicurezza, dunque. Che chiama immigrazione. Anche se il decreto che andrà in Consiglio dei ministri domani, accompagnato da un ddl, si occuperà dell’aspetto tecnico dei flussi con le prime modifiche per gli ingressi dei lavoratori extra-Ue nel 2025. Più click day su scala regionale per evitare che il sistema vada in tilt il primo giorno e soprattutto controlli per evitare infiltrazioni criminali. Ottobre dovrebbe essere anche il mese – ma ancora non c’è una data precisa – dell’apertura del Cpr in Albania. Iniziativa più e più volte rimandata, di mese in mese, per problemi logistici e uno scaricabarile interno ai ministeri. Nemmeno a dirlo: Meloni non vede l’ora di dire “fatto”, anche se nessuno sa ancora “quando”. Per il resto, che non è poco ma tantissimo, le forze del governo sono concentrate sulla prossima manovra, dai margini comunque molto stretti. Come annunciato da questo giornale il ministro dell’Economia ha in mente un intervento da 6 miliardi per la natalità. E cioè meno tasse per chi fa figli. Dunque famiglie, imprese e lavoratori dipendenti. Niente di eccezionale e di non visto. “Ma per noi dare 50 euro in più al mese a chi ne ha bisogno sarà comunque un grande risultato”, spiegano fonti di Fratelli d’Italia che si occupano del dossier. La premier che ieri ha postato il discorso della vittoria delle elezioni è tornata a Roma. Per ricominciare a dividersi fra agenda interna e quella internazionale. Sapendo che a breve dovrà gestire una serie di grane. La prima è quella di una possibile sostituzione della ministra Daniela Santanchè, se la ministra del Turismo venisse rinviata a giudizio l’11 ottobre.

E poi ci sono i sottosegretari da rimpiazzare: quello più urgente riguarda il ministero dell’Università, lasciato libero dalla dimissionaria Augusta Montaruli. Nessuna fretta, anzi per la casella di Vittorio Sgarbi al ministero della Cultura dove c’è già un altro ministro. Per il dopo Fitto l’idea resta quella di spacchettare e ridistribuire all’inizio le deleghe del futuro commissario Ue, pensando poi a sostituirlo con molta calma, dopo la manovra. Dopo due anni già governare l’ordinario non sembra un’impresa facile, meglio evitare frizzi e lazzi. Come ad esempio la riforma del premierato scivolata su un binario molto lento.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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