Cari Verdi, abbattere San Siro senza morire di CO2 si può. Così

Nuove tecnologie capaci di ridurre l’impatto ambientale di una demolizione esistono. E sono state utilizzate anche a Milano

Mentre ambientalisti e citoyen si baloccano tra un girotondo e un comitato “giù le mani dal Meazza”, il verde Monguzzi è rimasto inchiodato (dichiarazioni al Corriere) a valutazioni ambientali non esattamente aggiornate e continua a ribadire (i numeri sono di uno studio di un docente del Politecnico) che “rifunzionalizzare”, inteso abbattere, San Siro produrrebbe 210 mila tonnellate di CO2, “150 camion al giorno”. Insomma secondo il mantra paleo ecologista, ogni intervento urbanistico è una sciagura ambientale.

Ma basterebbe una rapida ricognizione alle ristrutturazioni degli stadi europei, dal Bernabeu a Wembely, per capire che si può fare altro. E nuove tecnologie che riducono gli impatti esistono. Sperimentate persino a Milano. Basta osservare la “Torre” di largo Treves che perde un piano alla volta ogni quindici giorni, o giù di lì. Grazie al sistema Tondownway, ideato dal gruppo Despe di Bergamo. La stessa azienda specializzata in decostruzioni pulite che ha abbattuto l’hotel Michelangelo accanto alla stazione Centrale. “Questa idea nasce – spiega al Foglio l’ad di Despe Stefano Panseri – dalla demolizione di una torre a Lione, in Francia, dislocata a brevissima distanza da un modernissimo centro commerciale. L’amministrazione comunale della città francese ci ha chiesto di realizzare un sistema innovativo per lavorare con tutte le garanzie in un contesto urbano”. E l’idea si è poi trasferita a Milano. “Noi siamo da sempre innovativi nei nostri progetti, in questo caso abbiamo evitato di costruire un ponteggio che non è in grado di proteggere dalle macerie e dalla polvere. È nata così una gabbia metallica di protezione – assemblata da una grande autogru – da sistemare sul tetto della struttura abbracciandone una parte consistente. Questa macchina raccoglie tutte le macerie, le polveri e anche rumori e vibrazioni, grazie a delle enormi pinze a schiacciamento”. Una tecnologia, la demolizione controllata, che dunque non disperde le polveri e risponde a tutti i requisiti di tutela ambientale”.

Rigenerazione urbana fa rima con demolizioni. Ma il problema dello stadio è un enorme punto interrogativo. “Noi – prosegue Panseri (che ci tiene a dire “sono neutrale nel dibattito sulla demolizione del Meazza, non tocca a me decidere”) – abbiamo affrontato il tema ingegneristico della demolizione dello stadio e abbiamo progettato un sistema utile per portare a terra senza traumi la travatura che si trova sulle torri”. Questa tecnologia, tra le altre, è stata presentata durante il dibattito pubblico itinerante che ha accompagnato le sorti del Meazza. “Nel caso della demolizione parziale, proposta dalla sovrintendente, occorre attenzione. Quando nel 2000 abbiamo demolito il vecchio palcoscenico del teatro alla Scala, abbiamo svuotato un volume da 100 mila metri cubi salvaguardando le quattro pareti del Piermarini che sono state conservate. Poi l’architetto Botta ha ricostruito la torre scenica. Demolire quella struttura è stato un lavoro complesso, accurato e lungo”. Mettere mano al Meazza sarà complesso ma possibile. “Oggi abbiamo tecnologie che ci permettono di non essere invasivi nei confronti delle pertinenze vicine e della collettività. Questo tipo di ingegnerizzazione si è allargata al campo dell’economia circolare. Un buon design delle demolizioni ci permette di capire ciò che può essere recuperato. Per l’abbattimento dell’hotel Michelangelo siamo riusciti a riciclare il 98 per cento dei rifiuti prodotti”, conclude Panseri.

La rigenerazione urbana, con o senza il vecchio Meazza, vuole dire tonnellate di cemento da smaltire. Ma – come abbiamo visto – cemento non vuole dire necessariamente nuove emissioni inquinanti. L’azienda svizzera Neustark ha sviluppato un metodo per trasformare i rifiuti di cemento provenienti dagli edifici demoliti in un pozzo di carbonio. Questo dovrebbe consentire di rimuovere permanentemente il CO2 dall’atmosfera. Il processo utilizza il CO2 catturato nelle centrali di biogas. L’anidride carbonica viene liquefatta e trasportata in un cantiere di demolizione. E anche sul fronte delle costruzioni i ricercatori italiani hanno introdotto novità importanti nella composizione del cemento, il biossido di titanio, che ha la capacità di attivare le molecole di ossigeno presenti nell’aria. Si innesca un processo di fotocatalisi, capace di accelerare il processo di ossidazione che avviene naturalmente, grazie al quale l’ossigeno decompone i contaminanti e li trasforma in nitrati e carbonati, ovvero in sostanze che vengono facilmente lavate dall’acqua piovana.

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